PesachSi apre la settimana di festeggiamenti di Pesach, la Pasqua ebraica, che quest’anno cade dal 23 al 29 aprile (14-22 del mese di nisan); ancora oggi la festa, fin dalla vigilia, ricalca le indicazioni bibliche presenti nel Pentateuco, con gli adattamenti resi necessari in seguito alla diaspora.

L’ORIGINE – La Pasqua è una delle tre feste bibliche di pellegrinaggio (Esodo 23:14-17), celebrata in ricordo della liberazione del popolo israeliano dalla schiavitù d’Egitto. Il primo giorno di Pesach prevedeva una santa convocazione durante la quale veniva offerto a Dio, oltre all’olocausto del mattino, un olocausto di due torelli, un montone e sette agnelli di un anno, i quali dovevano essere senza difetto, insieme a un’oblazione di cibo di fior di farina mescolata con olio (Numeri 28:19-20). Inoltre veniva offerto anche un capro come sacrificio espiatorio per il peccato. Tutti questi olocausti dovevano essere offerti anche per i sette giorni successivi. Il primo e il settimo giorno di Pesach si celebrava una santa convocazione e non doveva essere svolto alcun lavoro servile (Numeri 28:16-25).

DOPO LA DIASPORA – Il cerimoniale pasquale, dopo la distruzione del Tempio nel 70 dopo Cristo, è stato adattato per venire incontro alla nuova realtà; dall’epoca della diaspora si celebra il seder di Pesach (letteralmente “il servizio della Pasqua”), un pasto commemorativo con diversi elementi simbolici durante il quale vengono lette e seguite scrupolosamente le indicazioni dell’Hagaddah di Pesach, raccolta di testi rabbinici che illustra dettagliatamente la liturgia da seguire.
Il seder ricorda la liberazione operata da Dio durante il periodo della schiavitù d’Egitto, ponendo anche aspettativa per la liberazione a opera del Messia ed evidenziando così la redenzione passata e quella futura del popolo ebraico.

LA VIGILIA – Il 14 di nisan (quest’anno venerdì 22 aprile) è la vigilia di Pesach, detta ta’anìt bekhoròt. In passato, quando esisteva ancora il Tempio di Gerusalemme, ogni famiglia ebrea “sacrificava la Pasqua” per mezzo di un agnello di un anno, senza difetto, ricordando la salvezza degli israeliti dalla piaga dello sterminio dei primogeniti, che invece colpì gli egiziani (episodio ricordato in Esodo 11:1-7); durante la vigilia i primogeniti ebrei digiunano.

Il termine Pesach viene dal verbo pasach, col significato di “passare oltre”, in ricordo dell’azione dell’angelo della morte che “passò oltre” i primogeniti israeliti, risparmiando le case i cui stipiti erano segnati con il sangue d’agnello.
Dopo il tramonto del 14, quindi all’inizio del 15 di Nisan, (quest’anno sabato 23 aprile) parte la festa effettiva, che dà il via a sette giorni durante i quali ebrei e non ebrei (questi ultimi in territorio d’Israele) mangiano, come in passato, pani azzimi o matzot (la festa degli Azzimi citata in Esodo 23:14) e organizzano cene di commemorazione con un preciso rituale.

Prima della festa, la sera precedente alla vigilia di Pesach, le case delle famiglie ebree vengono ripulite da ogni traccia di lievito e alimenti lievitati (hamez).
Il lievito rappresenta il peccato e la malvagità. Quindi, il gesto di eliminare ogni traccia di hamez rappresenta il fare pulizia nella propria vita e nella propria famiglia da ogni peccato e malvagità.
Dopo aver eliminato l’hamez si prendono alcuni pezzetti di pane e si nascondono per casa, di modo che i bambini possano trovarli. La ricerca viene effettuata a lume di candela e ha uno scopo prettamente educativo. Prima di dar via alla ricerca dei pezzetti di pane si pronuncia la benedizione Baruch atah Adonai Elohenu melech a’olam asher kiddeshanu bemitzvotav vetzivvanu al biur chametz (“Benedetto sei Tu, Signore Iddio nostro, Re del mondo, che ci hai santificato coi tuoi precetti e ci hai comandato lo sgombro di hamez“). I pezzi di pane trovati vengono, poi, messi da parte fino al mattino seguente, avendo pronunciato la formula Kol chamirà vechamità deica birshtì, delà chamitè udelà viartè, livtil veleevè keafrà dearà (“Qualunque cibo lievitato sia ancora in mio possesso e mi sia sfuggito e sia stato eliminato, sia resto nullo e considerato polvere di terra”). Successivamente, il mattino dopo, vengono presi i pezzi di hametz precedentemente conservati per essere bruciati con gli elementi utilizzati per il Sukkot precedente, ovvero il lulav e i rametti di salice. A questo punto, viene detto quanto segue: Kol chamirà vechamità deica birshtì, dechamitè udelà chamitè, deviartè udelà viartè, livtil veleevè keafrà dearà (“Qualunque cibo lievitato che ancora sia in mio possesso, che lo abbia visto o che mi sia sfuggito, che lo abbia sgombrato o meno, sia resto nullo e considerato polvere di terra”).

LA CENA DI PESACH – La cerimonia più importante si tiene la prima sera con la cena – il primo séder di Pesach – il cui rituale, come detto, è descritto minuziosamente nell’Hagaddah. Gli alimenti utilizzati sono i seguenti: quattro coppe di vino più una coppa detta “la coppa di Elia”, del vino rosso, pane azzimo, uno stinco d’agnello o un collo di pollo arrostito (zroah), che rappresenta l’agnello portato al Tempio per essere sacrificato. Inoltre, altri elementi simbolici sono le verdure o erbe amare come il rafano o la lattuga romana in rappresentanza dell’amarezza della vita (chazeret e maròr), una ciotola con acqua salata (che rappresenta le lacrime versate dagli ebrei in Egitto) in cui viene inzuppato solitamente del sedano, della cipolla cruda o la patata bollita e sbucciata (karpas), delle erbe amare e una ciotola con una sorta di impasto o marmellata (charoset) realizzata con frutta e frutta secca (solitamente composta di mele, pere, noci e vino) in ricordo della malta d’Egitto utilizzata dagli schiavi israeliani per fabbricare i mattoni. Tutti questi ingredienti vengono posizionati in un particolare vassoio (ke’arà) utilizzato in occasione del pasto di Pasqua. Al centro del piatto del seder, in un vassoio coperto da un panno bianco o in una sacca bianca a tre scomparti (“tasca della matzah”), si adagiano tre pani azzimi (matzot shemurot), accuratamente selezionati in base al processo di lavorazione. L’azzimo è simbolo di servitù, è il pane del povero, segno della partenza improvvisa e frettolosa degli israeliani dal paese d’Egitto. Il pane azzimo è anche conosciuto anche come “il pane di afflizione” (lechem).
In tavola, durante il seder, viene sempre lasciato un posto vuoto con la Coppa di Elia posta davanti, dalla quale nessuno deve bere perché è riservata all’Elia delle profezie. Egli, infatti, è colui che annuncia la venuta del Messia escatologico. Il posto, perciò, rimane vuoto nel caso egli venga. Elia, secondo l’ebraismo, verrà e porterà con sé il Messia.
Le pietanze si alternano a meditazioni talmudiche, canti e letture bibliche correlate, introdotte dalla domanda rituale sul senso della celebrazione (anche questa riportata nella Bibbia), posta dai bambini agli adulti, e alla relativa risposta; dopo che gli adulti hanno bevuto la quarta coppa di vino, l’ultima prevista dal rituale, i bambini corrono ad aprire la porta di casa e tutti i commensali, in piedi, esclamano: Baruch haba b’shem Adonai! (“Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”). La celebrazione si conclude poi con canti tradizionali che ricordano la potenza di Dio e la comune fede.

(a cura di Ambra Marchese)

– Fonte: http://www.evangelici.net/notizie/1461343607.html#sthash.9PT0V1hw.dpuf